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note dal cinematografo

NOTE DAL CINEMATOGRAFO / Appunti scimmieschi attorno al cinema, i suoi posti.

Un condamné à mort s’est échappé

Mani che scavano nel legno con un cucchiaio di ferro, che fabbricano corde e appigli, che di nascosto scrivono, nere di terra, di grafite, di prigione. Mani che portano acqua fredda al viso, o ne trattengono le lacrime, o il cuore in petto. Mani aggrappate alle sbarre, che chiudono serrature, sgranano rosari e non viste uccidono. La guerra che raccontano i giornali è fatta per la storia, esiste solo nei libri. La sua vera esperienza è circoscritta alle percezioni sensoriali dell’individuo, a quello che vede e sente dalla trincea, nel campo di battaglia, dalla segregazione di un ospedale, di una tana, di un carcere. La guerra di Fontaine è un teso filo narrativo che collega suoni e rumori percorrendo l’intima desolazione di chi sepolto negli spazi angusti di una condanna a morte altro non può che sostituire l’udito alla vista. Il linguaggio di Bresson è di nuovo essenziale, ossessivamente scarno, pulito, preciso. Il suo occhio è una lente che cerca con onestà cristallina, e quello che trova è quanto più prossimo all’uomo.

 
—acRobert Bresson, 1956