NOTE DAL CINEMATOGRAFO / Appunti scimmieschi attorno al cinema, i suoi posti.
Good Morning
Sarà perché sono uno snob di merda, ma l’uso di inquadrature rigide e ossessivamente ortogonali che ho trovato al limite dello stucchevole in film di Wes Anderson che pure amo come Moonrise Kingdom e in altri suoi titoli che mi hanno invece lasciato più scettico come Isle of Dogs e The Grand Budapest Hotel, mi è invece parso perfettamente congeniale alla narrativa e ai contenuti del magnifico Good Morning.
Ozu colora di tinte pastello due mondi a confronto, quello degli adulti e quello dei piccoli. Mentre i primi si dedicano diligentemente a conversazioni vacue accusandosi di sciocchezze, istupiditi e appiattiti dalle convenzioni, resi inetti e prevedibili dalle stesse e complicando le cose più semplici, i bimbi—due giovani attori fenomenali—si prendono gioco di loro con la maestria del prestigiatore, la spietatezza del boia e il candore della loro età. E lo fanno in un modo che noi, ugualmente adulti, potremmo sorprenderci a trovare sconcertante, ovvero prendendosi seriamente e prendendo seriamente i propri desideri.
Ecco, forse è questa la provocazione che con la leggerezza delle sue musiche Good Morning vuole farci arrivare. Ozu non ci dice quali siano i desideri dei suoi protagonisti come non conosce i nostri, ma ci fa riflettere sul loro peso, suggerendo che se c’è una verità che abbia senso inseguire, sta probabilmente da quelle parti.