Non tengo l’età. Una bambina incipriata che sputa gucamole non riesce a impressionarmi. Non può impressionare chi come me ha più di quindici anni e beve vino, seppure poco. Come tanti classici di genere, non avevo mai visto The Exorcist. L’ho visto ora, purtroppo in piccolo. William Friedkin è un cineasta formidabile, esperto e scorretto, letteralmente machiavellico. Un miracoloso e provvidenziale stronzo della settima arte. Gli aneddoti e le infinite controversie sul suo spietato modo di lavorare, già al limite dell’accettabile nel decennio ribelle, sono tra le pagine più intriganti nella storia del cinema americano. Quasi mezzo secolo dopo, The Exorcist resta un film molto decente, illuminato tra i tanti pregi da un casting perfetto che ha avuto l’intuizione di preferire Jason Miller a Jack Nicholson e Marlon Brando per il ruolo di padre Karras. Ma è un film prigioniero dell’età del suo pubblico, superata la quale si manifesta posseduto da niente altro che da un demonio à la Scooby-Doo, più carnascialesco che satanico, più nostalgico che inquietante.