Generalmente non nutro alcun interesse per i film biografici, e a tutt’oggi si può serenamente dire che la freddezza sia ricambiata. Due sono le ragioni del mio malanimo. Prima di tutto perché li chiamano biopic, che sembra il nome di un collirio, e secondo perché nel bene o nel male la drammatizzazione di una vita scade sempre nel vizio della celebrazione, riducendo la stessa a una farsa stucchevole, pallosa e irrimediabilmente paraculo. In aggiunta a una sparuta lista di notevoli eccezioni, sfugge alle mie mestrue ingiurie un titolo in cui ho avuto la fortuna di imbattermi di recente. Il finlandese Hymyilevä mies di Juho Kuosmanen (impietosamente tradotto The Happiest Day in the Life of Olli Mäki, o nello squallido La vera storia di Olli Mäki) è la meravigliosa avventura di un pugile bianco, magro e spelacchiato, anni luce dalle stravaganze del pugilato d’oltre oceano e raccontata con sensibilità, ironia e discrezione scandinava. Molti critici in evidente stato confusionale hanno suggerito un facile paragone con Raging Bull, ma i suoi nostalgici 16 mm in bianco e nero ammiccano molto di più alla nouvelle vague che a Scorsese—o se mai al primo Jim Jarmusch, specialmente nelle scelte musicali e nei lunghi piani sequenza. Ma al di là del basso gioco delle similitudini, Hymyilevä mies è un film terapeutico, che trova una sua dimensione cinematografica senza cercare la via commerciale, ma neppure cedere a snobberie cinefile.