NOTE DAL CINEMATOGRAFO / Appunti scimmieschi attorno al cinema, i suoi posti.
Aspromonte, la terra degli ultimi
Evocativo e suicida, da documentario di vecchio stampo conciliante al sonno quanto un intervallo televisivo e con gli stessi contenuti, Aspromonte, la terra degli ultimi non è proprio un titolo che da sé raduni le folle al botteghino. Decisamente migliore è il film, anche se lo slancio delle prime scene—un volo mozzafiato sulle meravigliose, eponime alture e la disperata processione giù per le mulattiere, scalzi e sporchi a reclamare un dottore per il paese—lentamente si spegne, disillude e disattende. L’eccessiva ricerca di una trama uccide i personaggi tarpandone lo sviluppo, negando loro un arco. Le buone interpretazioni poco possono su una sceneggiatura empaticamente frigida che non concede respiro ai ruoli. Chi sembra essere protagonista non lo diventa mai, ma nemmeno può dirsi una storia corale, dove protagonisti sarebbero tutti. Così i momenti toccanti, che sono molti, ma non lo sono davvero, non quanto avrebbero potuto. Il merito di Mimmo Calopresti, se poco convincenti sono quello narrativo e drammatico, resta tuttavia nell’aver raccontato tra cronaca e favola un mondo raramente ricordato dal cinema, che pur romanzato in modo incerto e barzotto non fatica a destare nostalgia, affetto e la coscienza che vicende simili siano in fondo più attuali dei costumi che qui indossano.