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note dal cinematografo

NOTE DAL CINEMATOGRAFO / Appunti scimmieschi attorno al cinema, i suoi posti.

Posts tagged 2019
The Wild Goose Lake

Nei vicoli senza legge ai margini di Wuhan, vive gente laboriosa che annaspa, ruggisce e zoppicando fugge senza mai andare via. Imperscrutabili e inconoscibili, i personaggi di Diao Yinan sono contorni d’ombre su tende bagnate, muri lordi, fitti canneti. The Wild Goose Lake è un noir sensuale girato con straordinaria virtù cinematografica, che come un neon non è luce che dona alla notte, ma colori alieni e il freddo suono di un ronzio ininterrotto.

 
—acDiao Yinan, 2019
About Endlessness

Ho visto un padre allacciare le scarpe a sua figlia sotto la pioggia inesorabile, tre ragazze ballare in strada per nessun altro motivo oltre alla gioia, e un vecchio piangere in mezzo al mare freddo, solo nella folla, solo senza dio. Ho visto donne, uomini con il volto bianco nei dipinti muoversi, e la loro tragedia farsi a ogni stanza meno comica, più vera. About Endlessness, di Roy Andersson.

 
—acRoy Andersson, 2019
Knives Out

In fondo alla soffitta, dove la coltre del tempo copre vecchie robe e una lampadina a incandescenza ronza colorandole di giallo, sta quell’angolo mai troppo remoto della nostra memoria letteraria e cinematografica che Knives Out va a rispolverare. Sulla genealogia di Benoit Blanc—nerboruto investigatore privato in tweed e sigaro dietro il cui inaspettato southern drawl brilla un formidabile Daniel Craig—si leggono i nomi celebri di Poirot, Colombo, persino Clouseau. Ma il cimento in un genere non certo nuovo per Rian Johnson, che proprio grazie a uno strepitoso noir trovò la prima meritata popolarità, non è il nostalgico esercizio di stile che si potrebbe temere. Sostenuto da un cast che dà prova d’essere molto più di una conveniente sfilata di celebrità, Knives Out allo stesso tempo omaggia e sfotte i suoi emeriti antenati trovando le giuste tinte per dare nuovo colore, il proprio, a un’eredità dimenticata dagli ultimi distratti decenni.

 
—acRian Johnson, 2019
The Souvenir

Dopo una lunga astinenza torno a vedere un film. Innamorandomene perdutamente. Non è solo perché tocca temi vicini alla mia personale esperienza che trovo l’ultimo lavoro di Joanna Hogg straordinario, ma perché The Souvenir è davvero una perla rara e riluce, oltre che della sua lattea materia, di un coro di interpretazioni profondamente ispirate—dalle voci soliste di Honor Swinton Byrne e Tom Burke all’eterea presenza di Tilda Swinton, e il pungente cammeo di Richard Ayoade.
Fa riflettere come The Souvenir, che proprio per i suoi dialoghi incanta, sia stato girato senza una sceneggiatura tradizionale, affidandosi al genio dell’improvvisazione e alla sensibilità della regista di guidarne il delicato equilibrio. E fa riflettere sul ruolo dello scrittore, su come gli attori possano diventare di fatto coautori, e il cinema artisticamente ancora più collettivo senza che ciò annacqui l’identità dell’opera.

 
—acJoanna Hogg, 2019
Portrait de la jeune fille en feu

Tra novembre e gennaio, qualsiasi luogo in cui si parli di cinema si riempie di classifiche dei migliori film dell’anno. Sono articoli vuoti che riempiono pagine di poco. Tristi lapidi commemorative che consegnano gioie e dolori al silenzio del passato.
Detto questo, in un’epoca in cui gli spettacoli di maggior valore non sono più quelli che fanno rumore, riconosco loro l’occasionale credito di ricondurmi a titoli persi per caso o forza maggiore. Il venerdì in cui uscì Portrait de la jeune fille en feu, rinunciammo all’ultimo perché pioveva talmente forte che ritenemmo più civico cominciare a radunare gli animali. Il martedì successivo, ci facemmo vincere da Fellini in un’altra sala. La settimana dopo, gli infetti avevano cominciato a rondare minacciosi i luoghi pubblici della città. Quella dopo ancora le porte dei cinema erano già state sbarrate. Lo recupero quindi nel piccolo, entro i limiti di una cornice nera che sembra fare ironicamente eco all’elegante visione di Céline Sciamma.
Conformando la lente all’occhio dell’artista e del modello, Portrait esplora con una serie di incantevoli ritratti il discreto eppure audace reciproco osservarsi nel tentativo di comprendere il mistero altrui, magari il proprio. Quel dialogo tanto incompleto quanto umano di cui l’ultima spietata inquadratura su Héloïse è l’immagine più romantica e travolgente. ‘Si vous me regardez, qui je regarde moi?’
Solo per soldi costringerei mai i miei film preferiti in una classifica. In quella distorta eventualità, per l’anno passato, Portrait de la jeune fille en feu sarebbe probabilmente in cima alla lista.