C’è più movimento nell’immobilità che nella frenesia. God’s Own Country tratteggia l’irrequietezza elettrica di un mondo perso nel tempo con passione e sensibilità impressionistica, facendo lentamente sbocciare un inizio quasi documentaristico in una magica pastorale e provocando empatia dove meno ci saremmo aspettati di provarla. Forse il finale ha le ali tarpate da soluzioni trite e una descrittività narrativa non necessaria, ma a quel punto il film ci ha già vinti. Ed è tardi per cambiare idea.