Nonostante sia solo in apparenza meno intimo, personale e brasiliano dei suoi precedenti, è quanto meno potessi aspettarmi da Kleber Mendonça Filho.
Ben oltre la muta espressione interrogativa che lascia in viso, Bacurau prende forma nella mente con un certo ritardo rispetto alle immagini. Bellissime, per inciso. Sotto il sangue, la terra e la distopica assurdità, matura la consapevolezza di una metafora per niente surreale che a nessuno, bestie sociali governanti e governate quali siamo, può risultare estranea.
Superficiale è chi nel solito, inutile, saccente giro dei confronti vi ha letto l’influenza di Tarantino e Jodorowsky, e si è eccitato cogliendo gli omaggi a Leone e Carpenter. Tanto meno vale il mio personale riconoscere nel suo umorismo satirico, nella sua causticità politica, lo stesso profondo acume di Elio Petri. Perché Bacurau, di tutti questi nomi, è soprattutto se stesso, non certo impeccabile, ma più nuovo, artisticamente emancipato e cinematograficamente audace di quanto sembri.
Le ore più nere della notte festeggiano la paura e il terrore, ospitano storie inaudite, malvagi incantesimi, e il volo silente, rapace di un bacurau.