NOTE DAL CINEMATOGRAFO / Appunti scimmieschi attorno al cinema, i suoi posti.
Portrait de la jeune fille en feu
Tra novembre e gennaio, qualsiasi luogo in cui si parli di cinema si riempie di classifiche dei migliori film dell’anno. Sono articoli vuoti che riempiono pagine di poco. Tristi lapidi commemorative che consegnano gioie e dolori al silenzio del passato.
Detto questo, in un’epoca in cui gli spettacoli di maggior valore non sono più quelli che fanno rumore, riconosco loro l’occasionale credito di ricondurmi a titoli persi per caso o forza maggiore. Il venerdì in cui uscì Portrait de la jeune fille en feu, rinunciammo all’ultimo perché pioveva talmente forte che ritenemmo più civico cominciare a radunare gli animali. Il martedì successivo, ci facemmo vincere da Fellini in un’altra sala. La settimana dopo, gli infetti avevano cominciato a rondare minacciosi i luoghi pubblici della città. Quella dopo ancora le porte dei cinema erano già state sbarrate. Lo recupero quindi nel piccolo, entro i limiti di una cornice nera che sembra fare ironicamente eco all’elegante visione di Céline Sciamma.
Conformando la lente all’occhio dell’artista e del modello, Portrait esplora con una serie di incantevoli ritratti il discreto eppure audace reciproco osservarsi nel tentativo di comprendere il mistero altrui, magari il proprio. Quel dialogo tanto incompleto quanto umano di cui l’ultima spietata inquadratura su Héloïse è l’immagine più romantica e travolgente. ‘Si vous me regardez, qui je regarde moi?’
Solo per soldi costringerei mai i miei film preferiti in una classifica. In quella distorta eventualità, per l’anno passato, Portrait de la jeune fille en feu sarebbe probabilmente in cima alla lista.