Per quanto estro e virtù narrative possano complicarne la trama, tutti i thriller si risolvono più o meno nello stesso modo—l’obbligatorio confronto finale tra un protagonista che non sembra avere via di scampo e una controparte che nonostante lo schiacciante vantaggio finisce sempre, stupidamente, col perire. In un genere governato da tanto rigore, c’è però un titolo che più di altri merita d’essere ricordato. Lasciando le convenzioni in superficie, Blue Velvet porta impietoso lo sguardo dove raramente il cinema osa arrivare. Dalla fiabesca quiete di plastica suburbana agli estremi taciuti dell’erotismo proibito, è un’opera strana quanto David Lynch che come velluto scorre sensuale e impalpabile tra le frementi dita di un pubblico incredulo.
Un posto strano e angusto in cui entra poca luce. Un teatrino di cartone in cui vivono conigli scuoiati, una fata paffuta, uomini in pena e spermatozoi mostruosi. Da fuori penetrano rumori industriali, suoni metallici, boati lontani, guaiti strozzati e misteriosi squittii. Eraserhead è l’incubo vergine di chi ha letto Gogol e amato Fellini. Uno spettacolo indigesto, fervidamente libero e liberatorio.