Con tutta l’ammirazione che provo per Ben Wheatley, temo che l’unica cosa buona della sua versione di Rebecca sia l’avermi portato a rivedere quella di Hitchcock, o di Selznick. La sua rilettura recupera un fondamentale punto narrativo che il codice morale dell’epoca aveva impedito di portare sullo schermo, ma abbandona una geniale variazione saffica che Hitchcock era riuscito a vendere all’altrettanto rigida censura di quegli anni. La nuova drammatizzazione cinematografica di Rebecca fatica quanto già la prima a risolvere con brio un romanzo non certo privo di colpi di scena, ma non potendosi aggrappare al carisma di un attore come Laurence Olivier, finisce davvero con l’annegare. Se non nelle burrascose acque della Cornovaglia, nei fasti di una produzione senza molta anima, né apparente ragione d’essere.
‘Sometimes he found it difficult to believe in a future that had not already taken place.’
Sottile quanto la frase che lo introduce, si fa più imperscrutabile a ogni visione. Se avesse occhi sarebbero felini come quelli del suo lanoso e brillante autore.
Indossando i colori di una critica satirica alla società britannica e senza tradire lo spirito della sua fonte letteraria, High-Rise insinua una riflessione profonda, mai inattuale, sull’essere umano. Sulla sola creatura vivente priva di istinto e capace di adoperarsi con sorprendente ingegno alla propria estinzione.