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gente e strade

Randagi incompiuti

Esco dalla stazione più fredda della città che è già buio da un pezzo. Sono determinato a percorrere a piedi l’ultimo tratto di strada. Mi rallenta l’incalzare ovattato del jazz proveniente dal pub all’angolo. Il collo del basso si agita gobbo dietro la finestra, ma sono troppo stanco ed è troppo tardi.
Mi sorpassa un bus con lo slancio delle ore nere. La fermata è a una cinquantina di metri sull’altro lato della strada, ma non ho la minima intenzione di tradire i miei solitari propositi notturni mettendomi a correre per prenderlo. Lo vedo fermarsi mentre attraverso Muswell Hill Road. I pochi grigi in attesa rispondono al familiare peto della porta che si apre muovendosi verso di essa con il fiacco oscillare dei birilli che stanno sempre in piedi.
Il marciapiede è finalmente vuoto, meno che della mia dubbia presenza. Certo che il bus ripartirà a momenti, procedo la mia marcia senza fretta, ma tutto è fermo. Tace anche il vento.
Quando sono abbastanza vicino da pensare che l’autista possa vedermi nello specchio retrovisore, il suo indugiare mi convince che stia aspettando proprio me. Merda.
Con un brio che non so dove sia riuscito a recuperare, accenno una finta corsetta da adulto, balzo in carrozza e lo ringrazio per avermi obbligato a fare quello che non volevo. Lui mi saluta con un sorriso caldo e sbieco, e una fessura di occhi che del mio muso senza espressione non ha dovuto capire niente perché già sapeva tutto.
Caro sconosciuto conducente, il tuo indesiderato riguardo, lo ammetto, è il colore che mancava a questa giornata incompiuta di randagi morenti e di cristi senza corona.


 
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