Una domenica di qualche mese fa raggiungevo il resto del mio ensemble al jumble sale—un evento sociale e benefico che trasforma periodicamente la scuola in un mercato delle pulci. Oltre a essere il contesto ideale per vedere gente, scambiare commenti sul tempo e dirsi quanto si è stanchi, è un’occasione per raccogliere soldi, liberarsi di cose che non si vuole più in casa e trovarne di nuove, anche peggiori, a cifre irrisorie. Fresco e gallo, arrivo a fiera appena conclusa. Mentre mi dirigo verso G, che avvisto madida raccogliere il non venduto, sistemare tavoli, ingoiare fette di torta avanzate e ammucchiare cadaveri assieme ad altri genitori, vengo approcciato da due bravi. Con modi tutt’altro che briganteschi, dei due il più sfacciato mi chiede se posso farmi carico dell’incomodo di svuotare il contenuto di due grossi cesti nel bidone della carta. Abbasso gli occhi, sono libri. Merda, proprio io. Ma quando li rialzo, i due sono già lontani e i cesti zitti, immobili ai miei piedi. Troppo tardi per evitarlo, mi trovo investito dalla divina perversione del giudizio—e non è manco nudo e virile tra ritorte nubi michelangiolesche che sarò costretto a praticarla, ma in un cesso immondo di asfalto e plastica. Così trascino facendo rumore i due grassi contenitori ai cassonetti, e nel patetico silenzio in cui comincio a pesare le prime anime, mi sento subito sollevato da quello che vedo—sono quasi tutti testi sull’osservazione ornitologica. Se c’è una cosa più pallosa del perdere tempo a spiare passerotti, pettirossi e cinciallegre, è scriverne. Accelero quindi il ritmo, facendo volare dai cesti al bidone una quantità senza vergogna di copertine orrende e pagine soporifere al tatto pressoché intonse. Finché tra tanti uccelli mi capita in mano un timido, ingiallito libercolo di narrativa. Guardo meglio l’illustrazione sul fronte, riconosco i personaggi. Strano, ricordavo che Star Wars fosse nato sullo schermo. Indago all’interno, infatti è così. È un romanzo tratto da uno dei primi episodi della saga, un insolito adattamento letterario. Il cinema fagocita ciecamente tutto ciò che gli si pari dinnanzi—libri, racconti, fatti di cronaca, vite di gente, fumetti e canzoni. Con la stessa bulimica voracità trangugia e vomita opere teatrali, serie televisive, cortometraggi e poi sé stesso, masticandosi, maldigerendosi, rigurgitandosi. Ma quando altre forme cercano di invertire la tendenza, questa è la fine che trovano—oblio e macero.