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VR/AR

La realtà virtuale è di fatto una forma di schizofrenia artificialmente indotta. Quella aumentata, una semplice disgrazia lessicale. La febbre da digitale sta arrivando progressivamente all’apogeo predetto da quasi un secolo di letteratura, gufi e fantasie distopiche. Gli idioti penseranno di dover tornare indietro. Li chiameremo saggi, poi li metteremo alla gogna. Ci comporteremo come bambini e finalmente urleremo, sottovoce e di nascosto, e senza piangere per risparmiare. Parleremo di equilibrio come fosse il nuovo ordine da costituire, ma per nostra astrale fortuna non lo troveremo mai. Ci convinceremo piuttosto di averlo appena lambito, muovendoci a passo scomposto e con la solita furia verso la prossima aberrazione. Barcolleremo con intento scambiandoci espressioni bianche, supplicando compassione e comprensione. Proveremo a contare le rughe specchiandoci nelle lacrime di chi ci sta di fronte. Non ne vedremo alcuna. Atterriti ci volteremo a cercare l’unica cosa che abbiamo sempre creduto di avere, il futuro. E prendendolo con tutta la rabbia che ci sarà rimasta in corpo, avanzeremo, arretreremo, di nuovo avanzeremo. Farà male, ma non l’ammetteremo mai—che una parte fondamentale del progresso consiste nello stupro delle buone idee, e che è spesso la passione malata per le infette a proteggere quelle migliori. Proprio come nelle favole della buona notte.


 
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