Davanti alla stazione di Russell Square sta un capannello di uomini e donne intorno ai settanta. Una formazione compatta di mogli e mariti dal corpo tornito, bassotto e fagotto. In piedi davanti a una cabina telefonica, vi guardano dentro con occhietti vispi e intrigati scambiando in una lingua che non conosco quelle che paiono note di assenso o preferenza. Il signore in prima fila, col fare autoritario di un intenditore, agita un tozzo bastone di legno nella direzione della cornetta, o di ciò che da dove arrivo non posso ancora vedere. Mi sto perdendo uno spettacolo.
Mentre gesti e parole si incalzano appassionati, mi chiedo con crescente curiosità quale meraviglia possano mai custodire le cabine telefoniche di Londra di cui in tanti anni non mi sia mai accorto.
Nel torpore emotivo di una mattina più fredda di altre, proseguo con simulata indifferenza, avvicinandomi senza affrettare il passo alla strana combriccola. Poi finalmente supero la cabina e mi volto quanto basta da infilare un minimo scorcio sulla ragione di tanto trasporto. Disposte una di fianco all’altra come in un album di famiglia, sono una serie di immagini di donnine nude splendidamente lucide e inequivocabilmente aperte, accompagnate da numeri telefonici. Escludendo la follia di penetrare sgomitando nella testuggine per verificare la natura degli annunci, mi accontento della più ovvia ipotesi, ovvero che siano vecchie pubblicità di linee erotiche. Ma quando rallento per osservare la scena da vicino, il capo si accorge del mio indugiare, arresta il bastone in una posizione incompiuta, e con espressione giuliva mi dice qualcosa di cui altro non colgo che gli amichevoli propositi. Senza smettere di camminare ricambio ammiccando, divertito quanto lui da questa buffa intesa oltre la lingua, la comprensione, oltre persino il contenuto. Due beduini che si incrociano nella steppa e condividono un dimenticabile attimo di leggerezza, indispensabile a nessuno tranne che a loro.