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gente e strade

Moscow–London

Avendo trovato spazio proprio di fronte a me, sono saliti l’uomo più grande del mondo e una bimba minuta dalla carnagione lattea, i biondi boccoli e un velo di ombretto turchese sulle palpebre. Mano nella mano, non ci metto molto a capire che sono un padre e una figlia. Lei non ha più di cinque o sei anni. In punta di piedi non gli arriva alle ginocchia. Già ingobbito nell’angusto tubo di ferro che per lui è il vagone, la ciclopica creatura si china gentilmente per dirle qualcosa, sorriderle da vicino, e accarezzarle i pomelli appena tinti dall’inverno della terra ferma. Poi due posti si liberano. Incantato li seguo mentre cortesemente chiedono se possano occuparli. Nessuno protesta. Lui si siede per primo manovrandosi con relativa grazia in un sedile ridicolmente piccolo per il suo giurassico bacino. La bambina gli si siede accanto, rannicchiandosi nel suo immenso petto. Lui l’abbraccia, ma non con forza o la spezzerebbe senza fatica. Le sue mani sono una benna con cui potrebbe fare a sé l’intera fila di passeggeri, ma quel cantuccio caldo e comodo è solo per lei. Sfiorandole dolcemente il nasino ancora freddo con l’indice, le sussurra le ultime cirilliche rime. Non è vero che il russo lo parlano solo gli adulti. Non è vero che lo capiscono solo i bambini. E illuminatasi di una immensità in cui minuscolo mi perdo, s’aggiusta infine come fosse per sempre affondando ancora un poco nel luogo più sicuro che ci sia.


 
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