Il giorno del funerale di mia nonna mi ritrovai per un momento solo con mio nonno vicino alla bara. Mio nonno paterno era un uomo dolce, sensibile, forte e cazzuto, ma quel giorno era altro. Era gobbo e distrutto, come sarebbe stato per tutto l’anno a venire—suo ultimo.
Nella penombra della sala che aveva sempre avuto il colore delle feste e il suono dei bicchieri che si baciano, alzò il capo all’improvviso e mi disse, ‘Chissà se la nonna ci sta sentendo.’ Nessuno stava parlando, non c’era nulla da sentire, ma capii fin troppo bene la sua preoccupazione e presi tempo.
Volevo essere sincero a costo di risultare brutale e inopportuno. Era il minimo che potessi fare per mio nonno, e per me. Ma qualsiasi fu la mia risposta, lui aveva già deciso per tutti e due. ‘No, la nonna è morta.’
Tacqui. Fu un silenzio difficile, ma inevitabile. La stanza era diventata ancora più vuota. Non c’ero più io, non c’era più il nonno, e non c’era la nonna. Liberato dal peso di dover condividere le mie scemenze, continuai a riflettere per qualche minuto. Poi altri vennero, uscii a respirare una primavera tanto calda e smargiassa da confondersi con l’estate. Da allora, a cosa sia l’anima, non ho più pensato.