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gente e strade

Mortimer Street

Io e PJ in un torrido mezzogiorno urbano di asfalto sciolto, fiacca umana ed euforia estiva sottopelle. Lui in pigiama, io con gli occhiali da sole, entriamo in un caffè di Mortimer Street. ‘C’è una bella luce in questo posto, non lo conoscevo,’ dico io attratto dall’audace accostamento commerciale di cosmetici, saponi, tè orientali e caffè. PJ annuisce divino senza guararmi né disunirsi, poi chiede un espresso. Ma quando specifica lungo, dietro il bancone la barista sbigottisce. PJ mi guarda da una fessura, divertito o preoccupato. Io non rispondo, non ho niente da dire, eppure intervengo. ‘Un americano, grazie.’ Il mio ordine sembra donarle la serenità perduta e anche PJ, sempre meno divino e sempre più strizzato dentro il suo assurdo pigiama di jersey, si distende.
Bang! Kunk! Con pugno sorprendentemente forte ed esperto, comincia il rituale smartellamento alla macchina. Finché un nuovo tormento prende forma dietro l’ampia e sottile montatura di Gucci. ‘Caldo?’ Io e PJ ci guardiamo chiedendoci a chi dei due si riferisca. ‘L’americano, caldo?’
La guardo da sveglio, e rassicurato dall’incanto che ciò che è scontato non sempre lo sia, o non per tutti, rispondo l’ovvio che non dovrebbe mai essere. ‘Caldo, per favore.’


 
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