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gente e strade

La sedia dei nani

Seduto storto sulla sedia dei nani con la tristezza apparente delle persone alte, legge un quotidiano di quelli che girano nelle stazioni—quelle testate inutili, ordinariamente pettegole, che vengono prese per noia, sfogliate appena e lasciate in treno dietro i sedili a favore di altri distratti lettori.
Con gli occhi accigliati da critico inappetente, percorre veloce la prima pagina. Arrivato all’ultimo paragrafo, la strappa con furia, la appallottola malamente e la getta per terra sotto il sedere. Passato alla seconda, il rito si ripete. Lo stesso sbrigativo scandaglio, la stessa orrenda sentenza. Così per la terza, la quarta, la quinta—finché del giornale altro non resta che un cumulo informe di ombre grigiastre.
Non c’è frustrazione nella sua faccia secca e occhialuta. Non ci sono né rabbia, né noia. C’è piuttosto un’eccentrica efficacia nel numero maestro con cui giunti alla sua fermata afferra a due mani tutta la carta, scivola fuori dal vagone, butta il fagotto in un raro cestino della monnezza e prende posto assieme agli altri sulle scale mobili.
Realizzo solo allora, vedendolo sparire nella normalità delle azioni più comuni, di quanto ipnotica sia stata l’insolita rappresentazione concettuale metropolitana—lo spettacolo gratuito di un ignoto giustiziere mediatico, forse lo Zorro del Quarto Potere contemporaneo.
Troppa merda. Troppa quella che si scrive, che trova pubblicazione, che disbosca e riempie l’etere. Troppa fame di contenuti che sono scatole piene di niente.


 
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