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Mostro di ferro

Perché sia chiaro, sciare significa dimenticarsi dove si è nascosto abbigliamento e attrezzatura alla fine della stagione precedente, ritrovare tutto nel luogo più ovvio tranne le calze, recuperarne finalmente un paio mai visto prima, giurare sui propri cari di non esserne il padrone, ma usarle comunque per disperazione, perché nessuno sembra reclamarle, perché erano davvero le nostre anche se non lo ammetteremo mai. Significa vestirsi come un astronauta che va in disco-dance e muoversi con la stessa grazia. Mettere ganasce di plastica ai piedi, chiamarle scarponi solo perché sono più grandi delle scarpe normali e hanno una forma che le ricorda. Rischiare di rompersi le costole per allacciarli, riuscirci solo dopo aver emesso terribili versi pre-umani e aver coinvolto Dio. Camminare quindi come il mostro di ferro con gli sci in spalla pensandosi galli finché gli stessi si separano trasformandosi in un’enorme forbice letale, e le bacchette cadono, e le lenti si appannano, e ci si trova in qualche coda circondati da creature similmente aliene che odorano di creme solari, materiali sintetici, e ascella.
Eppure, non per questo, non per essere secondo solo al windsurf in quanto a scomodità di preparazione, lo sci è uno sport più nobile e singolare di quanto abbia mai avuto coscienza perché è privo di qualsiasi sentimento competitivo. Chi scia senza essere sciatore, senza fare gare, scia per stare in montagna, per le patate e il formaggio, per la grappa, la neve e gli aghi di pino. Scia per mettersi in mostra, perché ci vanno gli altri o per il bizzarro piacere di scendere, scendere con il tempo che ci vuole a farlo, compiere un gesto pulito e sentire il corpo funzionare.
In qualsiasi caso, è una delle discipline fisiche in cui il dilettante più meriti l’etimologia dell’appellativo amateur.


 
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