—ac
FranzKline_LeGros_1961.jpg

stanze

Re suicida

Cammini veloce per stare in piedi
non apri l’ombrello perché vuoi il cielo
la tua coperta.

Perché vinca l’acqua
che finalmente scende
ed è meno fredda della terra che lava.

La cosa più bella
le mani in tasca
e il canto ladro di un uccello stanco
in una sera d’asfalto.

Questa notte vera
immobile e dolce
che non cambia mai
non è mai la stessa.

Grida l’eco degli anni
del tempo che vince e torna
e crudelmente si nega.

Dei desideri perduti
le promesse mentite
con gli occhi aperti e la mente ebbra.

Sei il re suicida
che spegne il giorno
del bambino nato.

Un salmo nero
che scuote la spina da coccige a nuca
e avvelena lo spirito di ingenuo ardore.


—ac
I muscoli di un gigante

Ammiro i gufi
creature notturne che volano al buio
con occhi immensi e le ali ferme
che a notte fonda esistono
ancora scrivono
e bubolando fanno.

Ma sono mie le prime strane bestie
che si svegliano al freddo senza sentirlo
e quando le ore rallentato fino a tacere
non vivono oltre e con esse muoiono.

Dormire per sempre e vivere il doppio
oppure due volte allo stesso tempo.

Vorrei essere conosciuto con tanti nomi
avere i muscoli di un gigante.


—ac
Cavallo bianco

Un coro di idioti con voci diverse,
gli occhi crepati tra gli orchi nel letto
e i santi del giorno.

Da solo sta un pazzo sopra una piatta
in un mare d’aceto e liquido piombo.

Un cavallo è nell’acqua
di nervi scultorei il pallido crine.

Si leva uno zoccolo ad alzare la sabbia,
dal fondo nel cuore
inquieta e grave la torbida nube.

Scuro di notte il lento scarnare dei loro artigli,
il sogno di un sonno che non si sveglia.

Eccolo, è l’uomo—
grida il pubblico a terra tra la pena e l’orrore,
Eccolo è l’uomo, che non sarebbe mai stato.


—ac
Gli occhi chiusi

Il silenzio della pagina
è un segreto impenetrabile
che sornione si acquatta.

Nel posto segreto
dell’abbacino nero
vedo il gatto tigrato
spaventare i bambini.

E sopra i lividi elettrici
che dentro gli occhi danzano
scrivo illeggibile uno sperato bagliore
e delirante inseguo l’inafferrabile esistere.


—ac
Becco a uncino

Se avessero tutti gli occhi a palla e il becco a uncino.

Se la luna e i quattro cardi nella sabbia
non morissero al maestrale.

Se la polvere che s’alza dai sassi
in aria volasse
a bruciare ancora
e mai cadere.


—ac