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note dal cinematografo

NOTE DAL CINEMATOGRAFO / Appunti scimmieschi attorno al cinema, i suoi posti.

Blue Velvet

Per quanto estro e virtù narrative possano complicarne la trama, tutti i thriller si risolvono più o meno nello stesso modo—l’obbligatorio confronto finale tra un protagonista che non sembra avere via di scampo e una controparte che nonostante lo schiacciante vantaggio finisce sempre, stupidamente, col perire. In un genere governato da tanto rigore, c’è però un titolo che più di altri merita d’essere ricordato. Lasciando le convenzioni in superficie, Blue Velvet porta impietoso lo sguardo dove raramente il cinema osa arrivare. Dalla fiabesca quiete di plastica suburbana agli estremi taciuti dell’erotismo proibito, è un’opera strana quanto David Lynch che come velluto scorre sensuale e impalpabile tra le frementi dita di un pubblico incredulo.

 
—acDavid Lynch, 1986
Eraserhead

Un posto strano e angusto in cui entra poca luce. Un teatrino di cartone in cui vivono conigli scuoiati, una fata paffuta, uomini in pena e spermatozoi mostruosi. Da fuori penetrano rumori industriali, suoni metallici, boati lontani, guaiti strozzati e misteriosi squittii. Eraserhead è l’incubo vergine di chi ha letto Gogol e amato Fellini. Uno spettacolo indigesto, fervidamente libero e liberatorio.

 
—acDavid Lynch, 1977
Meek’s Cutoff

La prateria bruciata, le vacche cornute, il carro e un cavallo sellato. Un guado. La bellezza della scena di apertura di Meek’s Cutoff toglie il respiro. Il gusto narrativo di Kelly Reichardt è animato da una sensibilità rara, discreta come i suoi personaggi, eppure vivida come diventa la storia quando è raccontata da chi non ha un volto e mai ebbe voce.

 
—acKelly Reichardt, 2010
Rebecca

Con tutta l’ammirazione che provo per Ben Wheatley, temo che l’unica cosa buona della sua versione di Rebecca sia l’avermi portato a rivedere quella di Hitchcock, o di Selznick. La sua rilettura recupera un fondamentale punto narrativo che il codice morale dell’epoca aveva impedito di portare sullo schermo, ma abbandona una geniale variazione saffica che Hitchcock era riuscito a vendere all’altrettanto rigida censura di quegli anni.
La nuova drammatizzazione cinematografica di Rebecca fatica quanto già la prima a risolvere con brio un romanzo non certo privo di colpi di scena, ma non potendosi aggrappare al carisma di un attore come Laurence Olivier, finisce davvero con l’annegare. Se non nelle burrascose acque della Cornovaglia, nei fasti di una produzione senza molta anima, né apparente ragione d’essere.

 
—acBen Wheatley, 2020
It’s a Wonderful Life

Nella penombra di una sala di proiezione, il più cazzuto regista che sia mai esistito si lascia sfiorare la pelle ispida e le aride gote dal fumo languido di una sigaretta. Quando le luci si accendono i suoi occhi sono più azzurri, ma le palpebre rosse, la voce rotta, e dalle labbra addolcite da un tremulo sorriso, una sola stentata esclamazione—incredibile.
Nessun commento riuscirebbe a parlare in modo più vivido e sincero di It’s a Wonderful Life, Frank Capra, di questa fortunata immagine. David Lynch commosso nel rivederne alcune scene, sopraffatto quasi vinto di fronte alla struggente meraviglia dell’irripetibile.

 
—acFrank Capra, 1946