—ac
LaszloMoholy-Nagy_PP.jpg

gente e strade

Semi di zucca

Un uomo secco con lo sguardo da corrispondente di guerra siede di sbieco accanto a una donna spettinata della stessa età. Meno di ottanta, marito e moglie.
Inquartato, accaldato, al lato opposto del piccolo tavolo senza tovaglia, dei piatti caldi, i bicchieri pieni e una bottiglia a metà, sta un uomo più giovane con tante gengive e due sole lenti sugli occhi neri. Di sesso, olocausto, filosofia e futuro, è lui a parlare, a cercare opinioni con avidità, rispettoso interesse, a condurre con garbo da commesso viaggiatore, venditore di spezie e talismani. Nel frattempo masticano, per niente voraci, si toccano le labbra coi tovaglioli e bevono vino. Ogni tanto si fermano, riposano i gomiti sul vecchio legno, incrociano le dita davanti al mento per ascoltarsi meglio. Poi un boccone, un altro sorso sincero. La zuppa del giorno di carote e patate dolci con un goccio di olio di semi di zucca. Il filetto di salmone al forno con cavolo riccio, lenticchie e noci. Le melanzane saltate, glassate alla soia.
Prima dei libri, dell’arte e qualsiasi credo, le cose più straordinarie ancora accadono, sono sempre accadute, attorno a un tavolo.


 
—ac
Bianco latte e mela

Regent Street è una via lattea. Entro all’ora peggiore nel negozio più bianco della città, tanto più gremito di fedeli nel periodo dell’anno meno adatto per visitarlo. L’Apple Store a metà dicembre.
Il commesso che ride in polo rossa sulla porta mi chiede come sto, gli dico cosa voglio. Mi raccomanda al perito barbuto due tavoli oltre, che prende il mio ordine pregandomi cortesemente di avere pazienza.
Dopo molto meno di un minuto da che ho messo piede nella basilica, ho nella borsa quello che ero venuto a cercare e tre nuovi importanti amici. L’ultimo di questi, il contabile cicciotto, mi stringe la mano e si scusa contrito per la lunga attesa. Non so di cosa stia parlando. Lo rassicuro con parole semplici riguardo al disturbo non recato e scappo, prima che ciò lo incoraggi a proseguire con qualche altra bizzarria protocollare.
Quello di questo millennio è un consumismo emotivo e affettuoso che abbracciando con garbo vince sul tempo, e quindi su tutto.


 
—ac
La sedia dei nani

Seduto storto sulla sedia dei nani con la tristezza apparente delle persone alte, legge un quotidiano di quelli che girano nelle stazioni—quelle testate inutili, ordinariamente pettegole, che vengono prese per noia, sfogliate appena e lasciate in treno dietro i sedili a favore di altri distratti lettori.
Con gli occhi accigliati da critico inappetente, percorre veloce la prima pagina. Arrivato all’ultimo paragrafo, la strappa con furia, la appallottola malamente e la getta per terra sotto il sedere. Passato alla seconda, il rito si ripete. Lo stesso sbrigativo scandaglio, la stessa orrenda sentenza. Così per la terza, la quarta, la quinta—finché del giornale altro non resta che un cumulo informe di ombre grigiastre.
Non c’è frustrazione nella sua faccia secca e occhialuta. Non ci sono né rabbia, né noia. C’è piuttosto un’eccentrica efficacia nel numero maestro con cui giunti alla sua fermata afferra a due mani tutta la carta, scivola fuori dal vagone, butta il fagotto in un raro cestino della monnezza e prende posto assieme agli altri sulle scale mobili.
Realizzo solo allora, vedendolo sparire nella normalità delle azioni più comuni, di quanto ipnotica sia stata l’insolita rappresentazione concettuale metropolitana—lo spettacolo gratuito di un ignoto giustiziere mediatico, forse lo Zorro del Quarto Potere contemporaneo.
Troppa merda. Troppa quella che si scrive, che trova pubblicazione, che disbosca e riempie l’etere. Troppa fame di contenuti che sono scatole piene di niente.


 
—ac
I topi neri dell’ora vacca

Sono proprio belli i topi che prendono la metropolitana dopo mezzanotte. Sono scuri e hanno la coda nera, non rosa come il lungo e sottile pene dei roditori domestici.
Solo a manifestarsi della ronda di questa notte, corre lontano dai muri tondi della stazione. Meno inquieto della sua natura, si muove senza timore tra le ombre dell’ora vacca sparse senza apparente matematica sotto Goodge Street. Fa cose che non sono chiare a me come a chiunque avesse lo stesso privilegio di notarlo e dietro una sciarpa seguirne il gesto. Senza aggiungere rumore che sia udibile, fa quello che deve come tutti, meno alieno e animale di quanto la storia lo vorrebbe. Al contrario, almeno in questo, decisamente umano.


 
—ac
In vetrina scalza

Scalza in una vetrina di Windmill Street come un manichino, veste un cappotto lungo alle caviglie chiare sopra una maglia bianca di cotone. Ferma e bionda fino alle spalle, sta appoggiata a una parete col telefono all’orecchio. Il negozio è pieno di luce, polvere e nient’altro. Senza peso aspetta una voce, guarda dall’alto oltre i passanti, respira piano per sentirne il suono. Alcune mattine stanno zitte dietro un vetro, e non c’è davvero niente più di questo.


 
—ac